Con un occhio di riguardo per gli anni ’50

Lorenzo Zardi con il suo Amog T32 diesel
Nella collezione di Lorenzo Zardi spiccano trattori e macchine agricole del primo dopo guerra

«Cosa mi piace collezionare? Tutto quello che vale la pena salvare, quando lo reputo interessante e recuperabile. Gli amici e conoscenti mi segnalano quando c’è qualche pezzo interessante da recuperare e io, immancabilmente, vado con il mio camion e porto a casa. È più forte di me».

Vista posteriore dell’Amog. La presa di forza doveva essere richiesta a parte

Lorenzo Zardi, di Castel Bolognese (Ra), colleziona trattori e motori agricoli, falciatrici e quanto di interessante trovi da molti anni. Guardando i suoi pezzi salta subito all’occhio che ha una predilezione per i trattori degli anni ’50 e primi anni ‘60. «Sono nato fra i trattori – spiega – in quanto mio padre era contoterzista e poi anche io mi sono dedicato a questo lavoro. Con questo back ground è facile capire la passione che posso avere per i mezzi agricoli».

Nel cruscotto dell’Amog l’unico indicatore presente è quello dell’olio

Zardi racconta che ai tempi di suo padre, oltre 70 anni fa, molti trattori testacalda venivano accesi a inizio stagione e in pratica non venivano mai spenti.

Il Landini R3000 ha una potenza di 30 cv. Il cambio presenta 6 marce in avanti e la retromarcia

Ma questo capitava anche successivamente, a causa del tanto lavoro che avevano nelle campagne ravennati. In un paio d’anni i trattori raggiungevano un monte ore tale che venivano cambiati con le ultime novità.

Amog T32

L’obiettivo di Zardi è quello di poter, un giorno, mettere tutti i pezzi della collezione in un unico ricovero.

Veduta frontale del Deutz D30

Attualmente sono sparsi fra trattrici moderne utilizzate per lavoro. «Il nostro lavoro di contoterzisti ci porta a essere quasi sempre operativi e il tempo per gli hobby è davvero poco». Uno dei pezzi più particolari della collezione è un Amog T32 diesel. La Amog nacque nel 1949 a Lugo di Romagna grazie ad Angelo Tabanelli e Michele Tomisani. L’azienda era rappresentante di marchi blasonati come Ford e Oto Melara, ma dagli anni ’50 costruì anche mezzi propri. Era una delle tante ditte costruttrici che fiorirono, nel dopoguerra, fra Ravenna e Ferrara. La richiesta di trattori durante il boom economico era altissima e allo stesso tempo vi era una grande quantità di materiale bellico (jeep, carri armati, camion) in disuso. E soprattutto c’era la fantasia di meccanici e carrozzieri.

Il volante della motofalciatrice Bertolini

I soldi erano pochi e allora tante officine meccaniche, quelle più evolute, diventarono costruttori utilizzando motori di demolizione oppure motori nuovi. Stessa cosa per i cambi e mettendo assieme i pezzi si ottenevano trattori adatti allo scopo a costo inferiore rispetto a quelli delle grandi ditte. La Amog costruì e vendette, dopo la guerra, una ventina di carioche e poi cominciò la progettazione e costruzione di trattori veri e propri. Il primo della serie fu il T30 a ruote. Dopo questi ve ne furono altri, compreso il T32 Diesel della collezione Zardi, per un totale di circa 500 esemplari: non pochi per una realtà nata come piccola officina di campagna. Gli Amog nascevano spartani, con la sola barra di tiro posteriore: a parte si potevano equipaggiare con la presa di forza ad albero scanalato, sollevatore, falciatrice tanto per citare le richieste più comuni.

Deutz e Campagnolo

La targa Oro Asi è arrivata a Zardi per un esemplare totalmente originale, un Deutz F1L 514 del 1952, raffreddato ad aria. Altro trattore ben conservato è il Deutz F2L 612 del 1953 che, come sottolinea il collezionista, «funziona alla perfezione. Il problema è che non ho molto tempo per accenderli e provarli un po’, ma sarebbe molto importante metterli in funzione almeno un paio di volte l’anno».

Deutz F1L 514 del 1952. Il mezzo, per la sua originalità e stato di conservazione, ha meritato il riconoscimento Asi.

Un pezzo italiano, ma da classificare fra i costruttori poco conosciuti, è un Campagnolo 27 del 1955, mosso da un motore VM da 28 cavalli. Il Campagnolo era costruito dalla società “Testoni e Martelli” e i trattori della serie Campagnolo avevano come madre le carioche costruite dopo la fine della seconda guerra mondiale. La particolarità del Campagnolo 27 sta nel fatto che, pur essendo un progetto nuovo, sfruttava pezzi derivanti da veicoli militari come un cambio General Motors a 5 marce, il riduttore Spa e il differenziale Bedford. La costruzione era comunque artigianale, per cui capita che due trattori dello stesso modello possano invece differenziarsi per componenti anche importanti: in altre parole, si utilizzava quello che si trovava.

Il Campagnolo 27 risale al 1955 e monta motore VM da 28 cv

Un pezzo che il collezionista porta sempre alle sfilate o mostre statiche è uno Slanzi “Amico” del 1953. Questo trattore è caratterizzato da 4 ruote motrici, 17 cavalli, motore bicilindrico, cambio con tre marce avanti e una retromarcia con riduttore. In pratica è l’unico mezzo di Zardi riverniciato. «Io preferisco mantenerli nello stato in cui si trovano, dopo una revisione generale e un lavaggio approfondito. Tengo molto alla perfezione nel funzionamento e riesco a risolvere quasi tutte le situazioni più complicate. Dal punto di vista estetico, invece, propendo per conservarli così come si trovano, ma questo era stato pasticciato troppo con colori non originali. Per questo sono risalito al RAL e l’ho riverniciato con cura».

Zardi va molto fiero anche di un Landini R3000, in perfetto stato di conservazione. Monta un motore diesel a 4 tempi, che eroga una potenza massima di 30 cv. Il cambio aveva 6 marce avanti e la retromarcia.

Slanzi “Amico” risalente al 1953, da 17 cavalli di potenza

Chissà, poi, dove Zardi ha scovato una motofalciatrice Bertolini, casa molto attiva in provincia di Reggio Emilia. L’esemplare in collezione monta un motore Co.Ti. Emme da 8 cv a 3.200 giri e, invece dei “soliti” pedali per lo sterzo, presenta un volante su cui campeggia in bella vista il logo della Bertolini.

«Credo che collezionare – conclude – sia cercare di mantenere in vita un pezzo di storia. Non conta solo l’aspetto esteriore o il perfetto funzionamento: altrettanto importante è saper valorizzare quanto hanno rappresentato nella storia del lavoro dell’uomo».

Si ringrazia Matteo Vitozzi per la collaborazione 

Con un occhio di riguardo per gli anni ’50 - Ultima modifica: 2019-09-30T19:19:22+02:00 da Roberta Ponci

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