Agriplant, tecnologia in soccorso dei piccoli costruttori

Parla Bart Parrein (titolare dell'azienda): «Grazie al digitale è diventato facile vendere anche in un altro continente». Ecco le strategie per affrontare il mercato quando si hanno meno di 20 dipendenti

Gestire una rete vendita con decine di concessionarie, organizzare i corsi di formazione e la spedizione delle macchine, rifornirle di ricambi e aiutarle in caso di problemi tecnici di difficile soluzione non è cosa semplice, nemmeno per un costruttore di media dimensione, che può dedicare a questo settore uno o più addetti.

Figuriamoci per una realtà che conta una decina di dipendenti in tutto e ciò nonostante vende i suoi attrezzi dal Canada al mar Baltico.

L’intervista di questo numero, insomma, fornirà spunti interessanti ai piccoli e piccolissimi costruttori, quelli che gestiscono un’attività di taglio artigianale se non famigliare. Ma può interessare anche molti concessionari che operano in zone in cui l’orticoltura è ben presente e che potrebbero vedere in questa piccola ma assai dinamica ditta un futuro partner commerciale.

Dal Belgio con un’idea

La ditta in questione è la Agriplant, nome che dice qualcosa a chi si occupa di orticoltura, ma assai poco agli altri. Giusto dunque iniziare con qualche informazione di base, che ci è fornita dall’attuale titolare, Bart Parrein. Prima di lasciargli la parola, precisiamo che la Agriplant è una realtà belga, ma che è presente nel nostro paese da oltre un decennio. Parrein, del resto, parla un italiano quasi impeccabile. «Questa azienda – esordisce – nacque quarant’anni fa come ditta per la commercializzazione di materiali per il trapianto, in particolare per il ciclo del paper box, un sistema giapponese di cubetto precompresso. Successivamente iniziò a vendere anche le trapiantatrici. Nel 1999, infine, mise sul mercato la sua prima macchina automatica, seguita quattro anni dopo da un nuovo modello e poi da altri ancora, fino a quello attuale».

Quindi siete produttori di trapiantatrici automatiche. E che altro? «Null’altro. Facciamo esclusivamente trapiantatrici automatiche, in un’ampia varietà di modelli. Qualcuno, periodicamente, ci chiede perché non fabbrichiamo anche trapiantatrici manuali: la nostra risposta è che esistono già ottime realtà che si occupano di quel mercato. E poi fare un solo tipo di attrezzo non vuol dire fare un solo modello. Per esempio, abbiamo undici telai diversi, per macchine mono e bi-fila, a fila singola e binata, a doppia fila binata, fino alle sei file singole, che però interessano soltanto il mercato americano».

Tanta varietà per un solo tipo di macchina? «L’orticoltura è un settore in cui vi è molta diversificazione. Per esempio, sull’interfila: quel che va bene per il pomodoro non va bene per il cavolo o il finocchio. Detto questo, le componenti come motore, tazze, sistema per il recupero delle fallanze eccetera sono comuni a tutti i modelli».

Per oltre un decennio la Agriplanter – questo il nome della trapiantatrice – è stata una macchina per pomodoro e poco altro, a causa della sua limitazione nell’uso del porta-piantine. «Eravamo vincolati al cubetto precompresso e successivamente a pochissimi altri formati e questo ci limitava notevolmente. Con l’ultima versione, però, siamo arrivati a gestire oltre 70 tipi di contenitori diversi e ormai la Agriplanter può trapiantare di tutto: piante alte o basse, intrecciate o no, grandi o piccole. Abbiamo esperienze di successo, oltre che sul pomodoro, su cavolo, finocchio, sedano, origano, tabacco. In certi paesi la usano per la barbabietola, soprattutto biologica. In Canada ci cercano per trapiantare le cipolle, perché necessitano della distanza necessaria a farle diventare sufficientemente grandi da coprire un hamburger».

Parla di paesi molto lontani: fin dove arrivate? «In Europa vendiamo, oltre che in Belgio e Olanda, in Francia, Portogallo, Ungheria, Germania, Gran Bretagna e ovviamente in Italia, per il pomodoro al Nord e altre orticole nel Meridione. Oltre oceano siamo presenti in Canada, nella zona dell’Ontario, dove è diffuso il pomodoro da industria, e negli Stati Uniti. In California, patria del pomodoro, ma anche in Ohio, Indiana, Illinois».

Come siete arrivati fin là? «La Agriplanter è una macchina che si vende da sola. Il nostro miglior canale di promozione è Youtube, seguito dal sito. Per esempio, un gruppo di sei agricoltori canadesi vide lavorare la trapiantatrice in un video e ci contattarono per averne una. Lo stesso vale per gli Usa».

Dal fai da te alla strutturazione

Come gestite un’area di competenza così ampia, essendo soltanto una decina? «Inizialmente, macinando chilometri. Ci spostavamo per tutta Europa, consegnando e mettendo in campo macchine e intervenendo per le riparazioni più complesse. Per alcuni paesi – vedi Belgio e Olanda – è ancora così, ma generalmente ci siamo dati un minimo di struttura, cercando dei partner locali. In Italia, per esempio, abbiamo tre concessionari».

Quali sono? Visto che sono soltanto tre… «Orlandi in provincia di Piacenza, Cz Riparazioni a Bondeno (Fe) e Patella per la Puglia».

Un po’ pochi per coprire l’intero Stivale. «Vero. I nostri attuali rivenditori sono molto abili, ma non possono coprire l’intero territorio italiano. Sarebbe per noi molto interessante allargare la rete nelle aree attualmente scoperte. Ora che siamo cresciuti non possiamo fare tutto da soli. Non è pensabile correre da una parte all’altra del continente macinando chilometri su chilometri».

Siete aperti a nuove collaborazioni, insomma. «Certo. Se qualche rivenditore di macchine agricole è interessato, ci può contattare».

Requisiti? «Non diamo le nostre macchine a chiunque. Chiediamo, in primo luogo, un buon servizio di assistenza, che per noi è essenziale. Inoltre un minimo di esperienza nel settore orticolo e, inutile dirlo, una certa serietà. Da parte nostra offriamo tutto l’aiuto necessario per iniziare e i corsi di aggiornamento per i tecnici. Una buona concessionaria deve saper fare almeno la messa in campo e intervenire nelle situazioni più semplici. Per i casi particolarmente complessi ci muoviamo noi, con i dovuti tempi».

L’importanza delle tecnologie

Prima ha detto che Youtube e sito internet sono i vostri canali promozionali migliori. «È vero. Per farci conoscere in paesi lontani dal Belgio sono molto efficienti».

Sfruttate le tecnologie digitali anche in altri modi? Per esempio per l’assistenza? «In parte, sì. Da dieci anni a questa parte fare assistenza a macchine lontane è diventato molto più semplice: l’agricoltore ci manda il video del malfunzionamento o la foto del pezzo rotto e noi gli diciamo come intervenire».

E per le trasferte? «Avere la posizione esatta di una trapiantatrice in mezzo a un campo è molto utile, si evita di girare per niente».

Dunque anche senza grossi investimenti si possono sfruttare le tecnologie moderne. «Sì. A ogni modo abbiamo fatto anche gli investimenti. Le nostre trapiantatrici sono Can-Bus e montano un terminale su cui compaiono i codici di errore. Grazie a quelli e ai video che citavo in precedenza, risolviamo l’ottanta per cento dei problemi senza uscire dall’officina».

Chiudiamo con una particolarità italiana: le officine indipendenti. Molte sono autorizzate dalle varie concessionarie, ma al di là di questo riparano macchine di ogni tipo. Potrebbero fare lo stesso anche con le vostre trapiantratrici? «Perché no? Quella delle officine è effettivamente una realtà tutta italiana, nella maggior parte dei paesi europei è il concessionario che fa le riparazioni. A ogni modo, se un meccanico volesse diventare nostro autorizzato non abbiamo nulla in contrario sempre in abbinamento a un dealer, purché dimostri un po’ di competenza e molta passione. Perché lavorare in questo settore, soprattutto su macchine che sono operative soltanto poche settimane l’anno, richiede prima di tutto tanta passione».


Chi è Bart Parrein

La vita professionale di Bart Parrein è tutta all’insegna della vendita di macchine agricole. Nel 1990, dopo gli studi, inizia infatti a lavorare nell’azienda del padre Raphael: una concessionaria (tutt’ora attiva) che vende Massey Ferguson, Kubota, Manitou, Kuhn e tecnologie satellitari Trimble. La ditta era stata fondata diversi anni prima, partendo da un’officina meccanica per la riparazione di camion e mungitrici.

Nove anni dopo, nel 1999, Bart avvia la sua collaborazione con la Agriplant, che lo porterà prima a diventarne socio, con la responsabilità del settore commerciale, e in seguito unico titolare, carica tutt’ora ricoperta.


La svolta con il Can-Bus

La Agriplanter è presente nel nostro paese da una quindicina d’anni, ma soltanto nell’ultimo lustro è diventata davvero interessante per chi coltiva pomodoro. Dal 2015 in poi, infatti, è iniziata la sperimentazione in campo e successivamente la vendita del modello adatto a seminiere con cubetto comune (non precompresso). Questo grazie al progresso tecnologico e all’adozione del sistema Can-Bus, che permette di coordinare l’azione di tutti gli organi impegnati nell’estrazione della piantina. Questa operazione, infatti, avviene tramite due aghi e un estrattore che la spinge da sotto la seminiera. Prima del Can-Bus, i tre organi non erano sincronizzati e dunque potevano lavorare soltanto con terreno compresso. Il progresso tecnologico fa invece in modo che estrattore e aghi lavorino in sincrono e possano così estrarre senza problemi anche zollette non compresse. Queste ultime finiscono poi su un doppio nastro trasportatore, da cui i cubetti senza piantina cadono per mancanza di sostegno. Un sistema ottico rileva il vuoto e accelera il movimento in modo da evitare la fallanza nel trapianto. Un’altra applicazione della tecnologia digitale.

Agriplant, tecnologia in soccorso dei piccoli costruttori - Ultima modifica: 2021-10-13T15:35:27+02:00 da Roberta Ponci

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